Dicono di lui

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L’utopia non scaturisce certo da stati di tranquillità e soddisfazione. E’ proprio l’assenza di queste condizioni a far da forza motrice…L’esercizio dell’utopia, la pratica dell’operare perché le cose mutino impongono rinuncia, fatica, determinazione, coraggio e forse, alla fine, se ci sarà libertà, l’utopia sarà vedova di piacere.

Lea Vergine, 1991

 

Non ho chiesto a Goffredo Radicati se si riconosca nella riflessione di Lea Vergine, ma sono fermamente convinto che in essa consista molto del suo sforzo artistico. E usando il termine “sforzo” anziché “progetto” o semplicemente “intento”, aggiungo alle parole citate il senso, tutto personale e autobiografico, di un’arte che non si propone altro obiettivo che quella di essere, di esistere in sé, come necessità e in qualche modo urgenza della vita stessa. Una forza motrice che si esplica nel farsi dell’arte, rifiutando a priori qualsiasi schema. Coraggiosamente e spudoratamente quest’arte si impone innanzi tutto a sé medesima, poi -ma dopo, molto dopo- e comunque senza presunzioni ingenue attese o malcelate speranze si propone al mondo per quel che è.

Utopia, appunto. Non ha un dove, né un quando. Non credo nella propria utilità sociale o intellettuale. Esonera chiunque dal giudizio. Goffredo Radicati non pretende di spiegarci la realtà o qualcos’altro.

A cinquant’anni, dopo una vita passata nell’arte e per l’arte, l’unica cosa che veramente conta è continuare a dipingere, quasi come respirare. Essere.

Della solitudine e del silenzio questo artista sa tutto, forse ne è anche un poco orgoglioso.

Con grande umorismo e capacità di ridere di sé e del mondo, ha capito che l’arte non è il suo approdo, ma il suo viaggio, la sua traversata fra le tempeste e bonacce della vita. Verso dove? Chi potrebbe dirlo. E poi non importa. Non esiste altro luogo che quello dell’arte e della poesia. Estrema tentazione romantica.

Alle spalle c’è tutto, comunque molto. L’antica nobiltà famigliare, i paesaggi di intensa luce e memoria del padre pittore, i suoi giovanili approcci con la natura morta. 
Con ciò che restava del figurativo fra le intemperie dell’informale. 
C’è l’architettura, il design, la grafica… anni di lavoro e di quotidianità faticosa.

Alle spalle un passato mai rinnegato, ma assolutamente interiorizzato. Se ha valore, lo ha solo per ciò che riverbera nelle tele dell’oggi, dove le figure si allungano e si distorcono, danzano macabre e dannate, ma irresistibilmente vere nella loro maschera grottesca che annuncia un luogo che non c’è, un pensiero profondo e lieve a un tempo, compresso fra il sorriso e il ghigno.

L’utopia di Radicati ha in sé la forza di un nuovo sapere e la leggerezza del ritmo innaturale delle cose.

Il colore smaltato e laccato, di tecnica antica perseguita con rigore estremo nulla è casuale nell’arte è il vero sovrano di questa stupenda parata di forme e luci d’antenati illustri, da Paolo Uccello in su, fin al surrealismo dei grandi o, da un’utopia all’altra, alla poesia shakespeariana, dove il sogno è realtà e la realtà il sogno.

Paolo Biscottini - Giugno 2001

 

 

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